Un regalo per Leone X.
Era da mille anni che i Romani non vedevano più un elefante, tanto che al Foro Olitorio,
in epoca medievale, avevano storpiato il nome alla bella statua in bronzo dorato di Piazza
Montanara: da elefante a alifante.
Un bel giorno del 1514 il re portoghese Manuel d'Aviz, invitato all'incoronazione di papa Leone X,
gli portò in dono un bellissimo elefante albino, proveniente da Ceylon.
La nave che trasportava l'elefante Annone (chiamato così in onore del generale cartaginese) arrivò
da Lisbona quando l'animale aveva circa quattro anni.
Dopo il suo arrivo venne portato in processione per le strade della capitale, tra due ali di folla entusiasta,
insieme a due leopardi, una pantera, alcuni pappagalli, tacchini rari e cavalli indiani.
“…una gualdrappa di seta azzurra – narrano alcune antiche cronache – punteggiata
di smeraldi e rubini gli copriva la groppa, sulla quale era collocato un cofano di sandalo
dorato, con intarsi di madreperla, tempestato di gemme. Racchiudeva i doni più preziosi
per il Sommo Pontefice: un piviale di broccato, il cui peso era raddoppiato da quello delle
gemme, e calici, turiboli, anelli ed arredi d’oro…”
Il Papa attendeva l'arrivo del corteo a Castel Sant'Angelo; una volta giunto al suo cospetto,
Annone barrì per tre volte in segno di omaggio, strofinandogli la proboscide sulle pantofole;
poi, obbedendo ad un cenno del suo custode indiano, aspirò l'acqua con la proboscide da un
secchio e la spruzzò non solo contro i cardinali, ma anche contro la folla.
Scrisse il nobile Pasquale Malaspina: «Nel Belvedere prima del grande Pastore venne condotto
l'addestrato elefante che danzava con tanta grazia e tanto amore che difficilmente un uomo avrebbe
potuto ballare meglio».
Due anni dopo Annone si ammalò improvvisamente; i medici cercarono di curarlo, ma il 16 giugno
1516 morì di angina all'età di sette anni, stroncato dal clima umido della città, con il papa al suo
fianco giorno e notte. Annone venne sepolto nel Cortile del Belvedere.
Francisco de Hollanda, il maggior esponente portoghese della cultura rinascimentale, registrò
le opere con cui la creatura fu ricordata dopo la morte:
«L'elefante meritò varie raffigurazioni: lo possiamo vedere nella Fontana dell'Elefante del Giardino
Pensile di Palazzo Madama a Roma, opera di Giovanni da Udine, che lo aveva rappresentato
anche in uno stucco delle Logge vaticane. Queste opere, come quella intarsiata da Giovanni da
Verona sull'interno della porta della Stanza della Segnatura, nell'appartamento vaticano di Leone X,
derivano da un perduto disegno di Raffaello, del quale si conosce una copia. Un ritratto di Annone
è anche in una lunetta sopra una delle porte della cinta muraria intorno al Vaticano. Si può ipotizzare
un discreto sorriso dietro a queste commemorazioni, che hanno per noi un profondo significato.
Isabella d'Este si mostrò molto interessata alla memoria del garbato elefante: si era spento da poco
il pianto per la morte della cagnetta Aura, quando prese a cuore la memoria di Annone. Sappiamo
dall'agente dei Gonzaga a Mantova, Carlo Agnelli, che il 16 marzo del 1516 la marchesa aveva
ottenuto il tanto desiderato ritratto di Annone. Schizzi dell'elefante furono preparati anche da
Giulio Romano, che rappresentò l'animale in uno stucco del soffitto nella sala Fetonte al palazzo
Te di Mantova.»
In quegli anni Annone fu anche il soggetto della commedia satirica di Pietro Aretino intitolata
Le ultime volontà e testamento di Annone, un'opera che conteneva molti richiami e critiche ai
personaggi maggiormente famosi dell'epoca, incluso Papa Leone X.
Sembra poi che da tutta questa vicenda derivi il detto fare il portoghese, cioè non pagare:
quando arrivò la delegazione portoghese a Roma, il papa decise, in quanto ospiti, di pagare ogni
spesa ai diplomatici. Qualche romano furbacchione, però, venendo a conoscenza di questo
privilegio, cominciò a spacciarsi per portoghese. Quando il Papa si trovò a pagare i conti, fu troppo
tardi e, tra le fila del popolo, si diffuse con ilarità questo modo di dire.
Rimanendo in tema “animali” è curioso ricordare che a Roma negi ultimi anni del '700, al mausoleo
di Augusto si svolgeva la ...Corrida portoghese. Sì, perchè il famoso e imponente edificio
circolare apparteneva al nobile lusitano Vincenzo Mani Correa, che sopra di esso fece erigere
un'arena che, romanizzata,si chiamava Er Corea. Ancora oggi, visitando i resti del mausoleo, si
possono osservare degli anelli metallici fissati al muro per legarci i tori.
Lo spettacolo che si svolgeva al Corea prendeva il nome di Giostra delle vaccine, dove il termine
“giostra” indicava una gara di abilità, mentre “vaccine” si riferiva al bestiame bovino in generale.
Scopo della giostra era di stancare i bovini, anche con l’aiuto di cani, per poi atterrarli prendendoli
per le corna. I bovini indocili, che non “stavano al gioco”, erano catturati con cappi a nodo scorsoio
e fatti uscire dall’arena, tra la disapprovazione del pubblico. Viceversa, i tori che combattevano
valorosamente, quando morivano suscitavano “dispiacere universale”.
Lo spettacolo iniziava la sera, a partire da due ore prima del buio (cioè le 22), secondo l’orario allora in vigore,
corrispondenti alle attuali 5 del pomeriggio (“às cinco horas da tarde”, anche qui!), e si concludevano all’Ave Maria
con lo sparo di una “forte batteria” di fuochi d’artificio. I giostratori erano romani o forestieri, detti anche ercoli
o alcidi, spesso macellai o mandriani della campagna romana, come i butteri o infrociatori, così chiamati perché
controllavano i bovini prendendoli per le narici (in romanesco frosce). Gli animali erano bovini maschi castrati,
detti maglioni, che dalle numerose rappresentazioni pittoriche tramandate hanno i caratteri somatici dell’attuale
razza Maremmana, che d’altra parte era la più diffusa a Roma come animale da lavoro agricolo, da trasporto
pesante e da carne.
Giuseppe Gioachino Belli, il maggiore dei poeti romaneschi, descrive nel sonetto La ggiostra a Ggorea,
del 1831, un combattimento particolarmente cruento, nel racconto di un popolano che vi aveva assistito.
©Clive Thomas 2020