Urbis Romae in pillole, dal Tardo Impero a oggi.


Lasciamo in pace i Barbari! I danni che essi hanno fatto a Roma sono trascurabili in confronto ai danni fatti da altri.

E per “altri” intendo i Romani stessi, i Romani dei periodi imperiale e bizantino, del Medioevo e del Rinascimento,

e anche dopo.” (R. Lanciani)


Premessa I

“Non è del tutto chiaro quando nel mondo nordico si cominciò ad avere notizia di Roma, ma

già nel 113 a.C. i popoli germani Cimbri e Teutoni, partendo dai territori scandinavi, entrarono nelle

regioni danubiane, istituendo quel lungo processo di invasioni/migrazioni nel territorio romano

da parte di popoli extra-romani. D'altra parte Roma già brulicava di Greci, Arabi, Africani, Ebrei,

Persiani, essendo il Mar Mediterraneo il centro geografico e vero crocevia dell'Impero.

Conseguentemente, il rapporto dei popoli germanici con Roma si può riassumere come una

alternanza di conflitti feroci e negoziati pacifici. Non era facile accedere liberamente all’impero:

le truppe stabilite lungo il confine avevano il compito di controllare l’ingresso di uomini e merci;

tuttavia, entrare o uscire dall’impero non era né impossibile né vietato. Quindi, una forma di

immigrazione clandestina verso l’impero era sempre esistita e, oltre tutto, ci sono diverse

testimonianze di fenomeni di discriminazione soprattutto all’interno della città.” (Iannucci)

Premessa II

Sulla base di rinvenimenti catastali, a Roma sotto l'imperatore Settimio Severo (II-III Sec.) la

popolazione era di circa 1,2 milioni di abitanti su 2000 ettari di superficie; le insulae erano pertanto

46.602 contro 1797 domus. Le prime erano dimora dei plebei, mentre le seconde erano abitate dai

patrizi. In pratica le insulae costituiscono il “condominio” della Roma antica: nella forma più tipica

erano palazzi a pianta quadrangolare, con cortile interno (cavedio) talvolta porticato, sul quale erano

posti i corridoi di accesso alle varie unità abitative, dette cenacula, tecnicamente veri e propri

"appartamenti". In questi edifici il piano terra era solitamente destinato a botteghe di vario genere

(tabernae), dotate di un soppalco adibito a deposito di materiali e/o alloggio degli artigiani più

poveri; ai piani superiori si trovavano gli alloggi, che diventavano meno pregiati man mano che si

saliva verso il tetto. Le unità abitative andavano tipicamente da tre a dieci stanze, delle quali una di solito

era di dimensioni maggiori e in posizione migliore rispetto alle altre. Il primo piano,

solitamente, ospitava i cenacula di maggior pregio, spesso serviti da una balconata lignea o in

muratura, poggiata su mensole, che percorreva l'intero affaccio stradale. Le sistemazioni si facevano

più spartane e precarie ai piani superiori, fino ad arrivare al sottotetto, dove si pativa freddo

d'inverno e caldo d'estate, oltre a stillicidi d'acqua durante le precipitazioni.

Il prospetto a mattoni, in genere, non veniva intonacato, ma si poteva comunque riscontrare un

effetto visivo policromo per via dell'uso di laterizi di colori e tonalità diverse per i vari elementi

architettonici. I solai e le coperture erano spesso sostenute da volte, che garantivano maggiore

stabilità. Nel complesso mancavano i servizi igienici, essendo notoriamente usate a tale scopo le

latrine pubbliche e le terme. (Angela)


Cronologia

III-IV Sec. Forte epidemia di peste (peste di Cipriano) dal 250 al 270 circa.

Crisi sistemica, religiosa e politica dell'Impero, iperinflazione, forte denatalità,

insostenibile pressione fiscale, desertificazione degli agri, emigrazione.

Costruzione delle Mura Aureliane (270-275) a protezione della città.

Popolaz. Urbe >800.000 – Italia 10.000.000 – Europa 40.000.000 (IV Secolo)


Durante il I e II Secolo l'opera (e sovente il martirio) dei predicatori cristiani, unita ad una crisi del

culto politeista greco-romano, vide la progressiva affermazione del Cattolicesimo nel territorio

imperiale. Nel III e IV Secolo la tolleranza verso la nuova religione di tre Imperatori, Galerio,

Costantino e Teodosio, e la conversione di gran parte della popolazione, barbari compresi, porterà

ad un lento abbandono dei riti pagani e alla chiusura dei vecchi luoghi sacri, non senza aver assistito

ad episodi di saccheggio e distruzione da parte dei Cristiani più fanatici.

“Gli editti pubblicati tendevano a condannare il paganesimo come religio illecita e quindi ad

eliminarlo lavorando su due fronti: da una parte l’assoluto divieto dei sacrifici e delle altre forme di

culto, con pene che oscillavano dalle sanzioni pecuniarie all’esilio fino alla condanna a morte

(a seconda dei vari imperatori); dall’altra la chiusura, la confisca e, in molti casi, la distruzione dei

templi. I pagani reagirono in vario modo; in principio con la violenza, ma poco a poco, vedendo che

i cristianissimi imperatori erano decisi ad utilizzare i templi da cui avevano tolto i segni della

superstizione, gli stessi pagani si rassegnarono all’evidenza e fecero di tutto per salvare le statue

degli dei. Teodosio II nel novembre del 435 comanda che, se c’è ancora un solo tempio rurale non

distrutto, sia trasformato in chiesa cristiana.

I Padri della Chiesa riconoscevano, nella religione pagana, l’opera demoniaca e di conseguenza

le sue divinità erano paragonate ai demoni che inducono l’umanità nel peccato. Quest’idea

portava a ritenere i culti pagani come riti di adorazione dei demoni. La conseguenza di tale

posizione fu il riconoscimento come luoghi demoniaci dei templi e di tutti gli ambienti, anche

naturali, in cui si fosse svolto un qualche rito pagano. Questi luoghi, dopo essere stati purificati,

potevano accogliere un edificio cristiano. Dobbiamo tenere presente, però, che a Roma la situazione

risultava ben più complessa e problematica, in quanto la posizione imperiale era fortemente

osteggiata dal senato che, ancora abbarbicato agli antichi dei, portò avanti una lunga e tenace

resistenza.

Nel 313, l'imperatore Costantino dispone la costruzione della prima grande Basilica di Roma fuori

dalle mura aureliane, sul colle Vaticano, nel luogo del martirio e sepoltura di san Pietro, al quale

viene consacrata nel 326. Nel IV Secolo il Cristianesimo, ormai religione dell'Impero, necessita di

luoghi di culto adeguati e nel corso di questi due secoli vengono realizzate le prime basiliche,

derivate strutturalmente dagli omonimi edifici romani di riunione forense, come quelle di San

Giovanni al Laterano (nata come SS. Salvatore), di San Paolo e Santa Agnese fuori le Mura,

San Silvestro alla via Latina, San Clemente e Santa Sabina. Oltre alle basiliche sorgono edifici

minori, a pianta centrale, derivati talvolta dall'adattamento dei mausolei sepolcrali romani come il

Mausoleo di Santa Costanza, la Basilica di Santo Stefano Rotondo e il Battistero di San Giovanni,

ma sempre in siti periferici.

Dunque i fondatori di chiese evitavano inizialmente di utilizzare non solo i templi, ma anche le aree

sacre dove in precedenza sorgeva un tempio pure se questo era già in rovina; la credenza che gli

spiriti maligni si aggirassero nei dintorni dei templi era un forte deterrente. (…) A Roma la chiusura

dei templi ovviamente ne agevolò la rovina. Non dobbiamo dimenticare che la distruzione dei

templi, come tutti gli edifici romani, senza considerare la loro destinazione originaria, fu causata

anche da un insieme di vicende che contraddistinsero la città: le orde di barbari che la

conquistarono, a partire dai Vandali di Alarico nel 410, gli assedi, i saccheggi, i terremoti, le

pestilenze, lo spopolamento e di conseguenza l’incuria. Le costruzioni templari, non più soggetti ad

operazioni per la manutenzione, andarono in rovina e, privi di controllo, venivano saccheggiati di

tutto il materiale riutilizzabile. Scamparono alla distruzione solo i pochi templi che vennero

convertiti in chiese: il riutilizzo dell’intero monumento determinò in questi casi l’eccezionale

conservazione delle strutture antiche.” (Lonardo)

“Nel IV Secolo acquista grande rilevanza l'assimilazione e la piena integrazione dei Goti alla

cultura romana: essi diventano soldati (o contadini) romani a tutti gli effetti, garantiscono fedeltà

all’impero, si convertono al cattolicesimo e seguono la disciplina romana. In questo processo

l’esercito rappresenta la struttura maggiormente in grado di gestire questa forma di integrazione

perché assorbiva i barbari e li trasformava nei veterani romani che erano il vero pilastro

dell’impero.” (Iannucci)


V Sec. Roma perde la sua importanza politica a favore di Costantinopoli.

Chiusura dei templi pagani. Costruzione di nuove chiese, monasteri e xenodochi.

403 Ristrutturazione delle Mura Aureliane (alzate da 6 a 8 metri e da 14 a 18 porte)

408-410 Sacco di Alarico-Visigoti, carestia

411 Inondazione del Tevere.

422 Epidemia

443 Terremoto

455 Sacco di Genserico-Vandali, la popolazione è risparmiata.

472 Sacco di Ricimero-Burgundi-Ostrogoti

476 Terremoto

Popolazione ipotizzata a metà V Secolo 350-500.000


“Non era per niente facile, se non impossibile, per i rozzi guerrieri del Nord, e per quanto numerosi

fossero, assediare le mura ed espugnare Roma. La Storia ci dice che quando è successo è perchè

qualcuno li ha fatti entrare.” (Thomas)

“Abbiamo una relativa ricchezza di informazioni sulle direzioni della fuga da Roma saccheggiata

da Alarico. Rutilio Namaziano ricorda come molte famiglie avessero trovato rifugio nell’isola del

Giglio e, in generale, nelle isole dell’arcipelago toscano. La direzione principale della fuga sembra

però essere stata a Sud, verso l’Italia meridionale, la Sicilia e di là l'Africa e addirittura la Palestina,

sempre comunque regioni dell'Impero e relativamente tranquille. Una parte di questi profughi emigrati

oltremare era composta da membri delle élites romane, in gran parte aristocratici che hanno perso i

loro beni (quelli più preziosi, dalle statue di bronzo ai gioielli, venivano accuratamente nascosti, interrati,

murati o buttati nel Tevere).

L’imprigionamento, nella prospettiva o meno del riscatto, era una delle opzioni dei barbari vincitori nei

confronti delle popolazioni esposte al loro assalto. L’uccisione, soprattutto dei maschi adulti, costituiva

la scelta più drastica, ma nondimeno praticata con relativa frequenza, soprattutto nelle incursioni da parte di bande.” (V. Neri)

“I mutamenti sociali del V secolo portarono anche il cambiamento del modo di pensare da parte dei cristiani

nei confronti del paganesimo. Non solo in Oriente, ma anche in Occidente, si finì col capire che la politica

integralista seguita fino allora, fondata sulla soppressione dei templi o sulla loro chiusura era disastrosa

sotto tutti i punti di vista: sollevava solo ostilità fra i due gruppi religiosi che dividevano l’impero;

era un vero crimine artistico consumato spesso a danno di capolavori dell’antichità; era una spesa

costosissima per lo Stato che doveva pagare il lavoro di centinaia di operai impiegati per lo smantellamento

degli edifici pagani. Né era una decisione saggia lasciare chiusi locali, spesso grandissimi (templi, atri, abitazioni

dei sacerdoti, boschetti sacri) senza trarne alcun beneficio pubblico. Meglio, dunque, sarebbe stato adattarli,

con qualche ritocco architettonico, ad una nuova destinazione: così si trasformarono i templi antichi in chiese

per il nuovo culto cristiano. Comunque riuso dei templi per le chiese fu evitato all’inizio, almeno fino a tutto

il V secolo, probabilmente perché la comunità cristiana sentiva troppo il peso del culto precedente e degli

dei pagani per sentirsi a suo agio in quel tipo di edifici, che riteneva abitati dallo spirito maligno.

Solo quando il cristianesimo fu ormai saldo, e lontano il ricordo della vecchia religione tanto avversa,

si cominciò la conversione dei vecchi templi. Questo processo a Roma durò fino al IX Secolo”. (Lonardo)


VI Sec. Tre inondazioni del Tevere (508 Terremoto)

Riutilizzo dei materiali di edifici pagani abbandonati.

Si diffondono calcare e fornaci (per tutto il Medioevo e oltre)

Progressivo abbandono delle Catacombe.

Guerra Greco-Gotica 535-553, i Goti distruggono gli acquedotti.

537-538 Sacco di Vitige v. Belisario – Carestia

546 Sacco di Totila-Ostrogoti

568 Carestia

590-604 Papato di Gregorio Magno (64º papa)

590 Epidemia

Pop. Fine Secolo ≃ 40.000


“Gli eventi urbanistici tardo e post-imperiali sono un succedersi infinito e sovrapposto di distruzioni,

smantellamenti, costruzioni, ricostruzioni e interramenti, in una ex-metropoli che da complessa e altamente

organizzata viene colpita da eventi naturali e bellici tali da ridurne la popolazione del 95% nell'arco di un

tempo relativamente breve. Alla fine del VI Secolo questo grosso calo di popolazione, conseguente

alla lunga guerra Greco-Gotica e al sacco di Totila, accompagnati da malattie (peste, vaiolo e soprattutto

malaria), rende l'Urbe abbandonata e in parziale incuria. Anche le campagne sono state abbandonate,

manca così un approvvigionamento regolare di viveri, accentuando il rischio di carestie.

I maestosi complessi monumentali e termali, i teatri, gli stadi ed i lussuosi giardini non hanno più ragione

di esistere e richiederebbero una manutenzione impossibile da farsi, per assenza di risorse umane ed

economiche. Il sistema fognario e gli acquedotti sono da ripristinare.

Nonostante ciò, secondo i testimoni dell'epoca, dopo le invasioni, i saccheggi e gli incendi, l'Urbe

brilla ancora del suo splendore imperiale. Ma è semideserta. Come ritengono gli storici, escluse le

aree del Velabro, del Foro e del Campo Marzio meridionale, è abitata a macchie di leopardo. ” (Thomas)

“Nel VI secolo si hanno altri insediamenti di chiese in edifici pubblici non cristiani come S.Maria

in Cosmedin nella Loggia dell’Ara Maxima di Ercole, SS. Cosma e Damiano in un annesso del

Templum Pacis, e forse S. Agnese in Agone nello stadio di Domiziano (ancora in piedi).

A questo Secolo si possono datare gli istituti assistenziali che non furono costruiti ex novo,

ma riutilizzando antichi edifici preesistenti, forse, donati da benefattori o di proprietà della Chiesa

o dello Stato: S. Stefano Rotondo nei Castra Peregrina, S. Maria in Cosmedin nello Statio Annonae,

S. Giorgio al Velabro nel Forum Boarium, S. Teodoro, S. Maria Antiqua nell' Horrea Agrippiana,

S. Maria in via Lata nell' Edificio horreario, S. Vito nel Macellum Liviae e S. Maria in Domnica nei

Castra Peregrina e Macellum Magnum di Nerone. Nella zona del Foro sorse Santa Maria Antiqua,

eretta sui resti degli edifici imperiali.” (Lonardo)

“L’unico organismo efficace e capace di tenere insieme la compagine sociale, economica e politica

era la Chiesa. Con a capo Gregorio I Magno, controllava e amministrava territori e mediava accordi

con i Longobardi per impedire uno scontro diretto. La Chiesa quindi nel VI secolo assicurò con

i finanziamenti sia il decoro delle sue proprietà e la protezione dei monasteri ma contribuì anche ad

aiutare i poveri e bisognosi con un vero e proprio programma di assistenza, coprendo le mancanze

dello stato Bizantino.” (Krautheimer)


VII Sec. Tre inondazioni del Tevere

Trasformazioni nel Campidoglio.

VIII Sec. Numerosi restauri di papa Adriano I

Diffusione dei campanili.

791 Inondazione del Tevere

Popolazione ≃ 40.000


“I rischi legati ai roghi, accidentali o deliberatamente provocati (specie dai saccheggiatori),

costituivano ancora una delle minacce più gravi al regolare svolgimento delle attività e alla

sopravvivenza della comunità urbana, e l'azione spontanea dei popolani era incentrata quasi

esclusivamente sull'improvvisazione. Nel periodo alto-medievale prevaleva un atteggiamento

fatalistico e di sfiducia, in quanto le calamità e i roghi di vasta portata venivano identificati per lo

più come castighi divini. Significativa in tal senso è la cronaca secondo la quale, nell'anno 847,

durante l'incendio verificatosi nel quartiere di Borgo, fu papa Leone IV ad intervenire personalmente

per domare le fiamme, sulle quali gettò i propri paramenti sacri provocandone

l'estinzione. Altro "metodo" per scongiurare o affrontare gli incendi e i disastri era quello di portare

in corteo le spoglie del santo protettore o altre reliquie e simulacri. Questi elementi testimoniano il

senso d'impotenza delle genti del Medioevo di fronte ad eventi di quel tipo e il loro rifugiarsi

all’interno di un atteggiamento passivo, che concorse ad impedire la presa di coscienza necessaria

a dare impulso a organizzazioni in grado di fronteggiare le sventure legate al fuoco. Nell'VIII secolo

Carlo Magno iniziò a ripristinare un sistema organizzato di prevenzione ed estinzione degli incendi:

pur non eguagliando ancora l'efficacia della militia vigilum d'epoca imperiale, fu il primo serio

tentativo di ripristinare un servizio la cui assenza si era fatta pesantemente sentire.” (vigilfuoco)


“Durante il VI e VII Secolo era frequente che anche dimore private fossero ricavate nei monumenti

pubblici in rovina; prese consistenza l'uso di seppellire i morti dentro la città, contravvenendo alla

legge romana; non sporadicamente o furtivamente, ma in sepolture qualificate e corredate da

iscrizioni. Il collasso della città antica sembra ormai compiuto e per quasi due secoli non ci sarà

riqualificazione urbana. Viene meno una società complessa ed evoluta, sostituita da una impotente

e primordiale che vive tra i resti dell'antica città ma in condizioni non più cittadine. (…)

Decadenza o trasformazione? Cassiodoro non lamenta una situazione catastrofica, un certo decoro

imponeva un controllo ed una cura degli edifici in uso, cercando di tenere sgombre le strade da

macerie e immondizie; inoltre Teodorico regolava per legge lo smontaggio dei monumenti antichi,

oramai diventati cantieri. La ridotta popolazione ha interesse a mutare i criteri di gestione e uso della città,

riorganizzando l'insediamento all'insegna della comodità, delle opportunità e del risparmio.” (Delogu)

L'impianto topografico è grosso modo ancora quello imperale e le strade mantengono lo stesso nome latino.

Nel primo decennio del VII secolo si rileva un importante intervento: non si tratta di una nuova costruzione,

ma della trasformazione del Pantheon in edificio di culto cristiano, con dedica alla Vergine e ai martiri, ad

opera di Bonifacio IV, per concessione dell’imperatore Foca. L’occupazione cristiana nel 609 dell’antico

tempio fu prima di tutto un atto di grande rilievo politico, in secondo luogo ebbe anche una rilevante valenza

urbanistica in quanto Santa Maria ad Martyres venne a costituire un polo importante nel Campo Marzio

che nel medioevo aveva la massima concentrazione abitativa della città. Nel 735 Gregorio III fece

ricoprire la cupola con lastre di piombo in luogo di quelle di bronzo asportate nel 655 dall’imperatore Costante II.

Il Pantheon, una volta consacrato al culto cristiano, deve essere stato per molto tempo l’unica grande chiesa

situata nella parte orientale del quartiere che poi divenne il centro della città.” (Lonardo)

Nell'ottavo Secolo, durante il suo pontificato, Adriano I s'impegnò in numerose opere edilizie e sociali,

restituendo a Roma quell'aspetto di monumentalità che l'aveva caratterizzata nel periodo dello splendore imperiale.

Tra le opere principali: la ristrutturazione degli argini del Tevere che un'inondazione nel 791 aveva danneggiato,

il restauro di alcuni degli antichi acquedotti romani, con una più capillare distribuzione idrica nella città, e la

ristrutturazione delle mura, con nuove e più adeguate fortificazioni. Notevoli e numerosi i suoi provvedimenti

nel campo dell'edilizia religiosa: la basilica di San Pietro e il suo campanile, con interventi sia esterni che

interni non solo di pura edilizia ma soprattutto di arricchimento e miglioramento artistico (statue, mosaici, ecc.),

con abbondante (ri)utilizzo di materiali pregiati. “A partire dai secoli VIII e IX un’intensa attività edilizia interessò

l'area del Laterano, che si venne via via costellando di monasteri (S. Pancrazio, SS. Sergio e Bacco), di cappelle

e oratori (S. Silvestro, S. Tommaso, S. Nicolò, S. Venanzio, S. Lorenzo SS. Salvatore), di abitazioni, mulini,

cisterne, botteghe, locande e ospizi per i pellegrini e abbeveratoi per animali (alimentati dal vicino acquedotto

neroniano riparato intorno al 1120), tanto che nel sec. XII il Patriarchìo era ormai l'epicentro di un borgo

abbastanza consistente.” (F.A. Angeli) Altri vecchi templi pagani furono trasformati in chiese: S. Nicola dei Cesarini,

nell'area sacra di Torre Argentina; S. Nicola in carcere, presso i templi del foro olitorio; S. Maria Nova, sul colle della

Velia; Santa Maria Egiziaca nel Tempio di Portunus; S. Lorenzo in Miranda nel Tempio di Antonino e Faustina;

S. Silvestro in Capite nel Tempio del Sole; S. Omobono nei templi gemelli di Fortuna e Mater Matuta, sotto la rupe Tarpea.

Con papa Pasquale I furono inoltre ricostruite le basiliche di S. Maria in Domnica e di S. Cecilia in Trastevere.

Roma stava diventando la città dalle mille chiese.


IX Sec. Quattro inondazioni del Tevere

801, 847 o 849 Terremoti

848-852 Costruzione delle Mura Leonine

849 Incursioni dei Saraceni (per tutto il IX – X Sec.)


“Dall'alleanza coi Franchi il papato trasse certamente due vantaggi: sicurezza del dominio e nuove fonti di reddito.

La sostituzione dei re bizantini con quelli carolingi liberò i territori dalla minaccia sempre incombente di una rivincita longobarda.

(…) L'esercizio della giurisdizione produceva tributi, pedaggi, diritti di zecca, multe, confische, cui si aggiungevano i redditi

delle numerose proprietà fondiarie incamerate dalla Chiesa romana in tutto il Lazio. La combinazione di questi cespiti

rese possibile la straordinaria attività di riorganizzazione e abbellimento dell'impianto urbanistico e monumentale iniziata

da Adriano I e Leone III. Si realizzarono il restauro delle chiese fatiscenti, il ripristino delle mura e degli acquedotti;

il potenziamento del complesso lateranense; le infrastrutture della viabilità e dell'accoglienza intorno a S. Pietro;

l'abbellimento di tutte le chiese con lampade e vasi d'oro e d'argento e con tessuti preziosi. Parliamo di ottomila

chili d'argento e più di mille chili d'oro, e inoltre duemila pezze di tessuti e broccati, che all'epoca valevano quanto i

metalli preziosi.” (Delogu)

“Credendoli finalizzati alla propria autonomia, il popolo romano sosteneva gli sforzi del papato, ma

diverrà il suo peggior antagonista una volta che il pontefice ricorse a poteri stranieri per regolare l'ordine nella città.

Le nuove famiglie aristocratiche come i Crescenzi e i Tuscolani controllavano l'istituzione pontificia, governando con essa.

Questi nuovi senatori, dal tipo di vita strettamente militare, giocavano con le alleanze matrimoniali al fine di mantenere

la coesione dei lignaggi.” (Vauchez) “Il Colosseo, di proprietà dei Frangipane, era abitato da centinaia di persone

che vivevano in promiscuità e insieme agli animali. Nascevano i nomi nuovi del popolino, spesso legati a nomignoli

sarcastici, come ad esempio i Collotorto, i Cinquedenti, i Boccapecora, i Centoporci, i Cortabraca. In questi anni

si assiste ad un progressivo abbandono delle zone del Foro a favore di quelle del Campo Marzio, nell'ansa del fiume.” (Vincenzo RG)


X-XI Sec. Tre inondazioni del Tevere

1084 Sacco dei Normanni di Roberto il Guiscardo.

Pop. Urbe >40.000 – Italia ≃ 8.000.000 – Europa ≃ 40.000.000


Guglielmo di Malmesbury, rivolgendosi a papa Gregorio VII non ha peli sulla lingua: “Cosa c’è nella città di Roma

un tempo sede della santità? Nel Foro vagano sicari e tutto quel genere di uomini infidi e inclini al male.

Adesso sul sepolcro dei santi si vanno a ubriacare?”

Bernardo da Chiaravalle, abate e teologo francese dell'ordine cistercense, era dello stesso avviso.

L'espressione saeculum obscurum fu coniata in tempi moderni per caratterizzare come cupo e

disastroso il periodo della storia del papato che va dall'888 (quando l'autorità imperiale venne meno,

gettando l'Europa nel caos politico) al 1046 (cioè l'inizio della riforma gregoriana).

Nei Secoli X e XI Roma sprofonda nel suo periodo più buio. Pontificati della durata di un paio di

settimane (49 Papi in due Secoli), simonia, nicolaismo, congiure, assassinii, rendono la città mal

governata e teatro di crimini sanguinosi.

“Nella Roma del Mille, i ricchi erano pochi ed i poveri molti, e questi ultimi sopravvivevano grazie

alle elemosine dei primi, che le donavano ai poveri solo per paura di finire all’inferno e per salvarsi

l’anima”. (Krautheimer)

“Col termine Romei s'indicavano, in età medievale, i pellegrini cristiani che da ogni parte d'Europa

si recavano a Roma per venerare nella sua basilica il sepolcro di Pietro e la basilica in cui erano

sepolte le spoglie di Paolo. La via più nota da essi percorsa era la via Francigena che, da oltralpe,

attraversava di preferenza il passo del Monginevro per poi intraprendere il cammino verso la Città Eterna.

Se il più antico resoconto d'un pellegrinaggio a Roma viene datato al 990, la pratica di

recarsi a visitare luoghi santi della Cristianità risale a molto tempo prima.” (Wiki)

Lo storico Ferdinand Gregorovius descrive l'aspetto della città intorno al X Secolo: “Immenso era ancora

il numero di edifici antichi, magnifiche rovine che mostravano ad ogni passo delle generazioni dei vivi la

grandezza del passato, la meschinità del presente. (…) I pontefici, che in un primo tempo avevano

considerato i monumenti proprietà dello Stato, presto non ebbero più né voglia, né tempo, né potere

sufficienti per curarsi della loro esistenza.

Ai Romani fu concessa libertà di saccheggio; i preti trascinavano colonne e marmi nelle loro chiese,

nobiltà e clero costruivano torri su splendidi monumenti antichi, gli artigiani aprivano nelle terme e nei

circhi fucine, filande e botteghe. Quando il pescatore, il macellaio o il fornaio esponevano la loro

merce, questa si presentava su lastre di marmo ove un tempo assisero i dominatori del mondo.

Sarcofaghi erano sparsi dappertutto e usati come serbatoi d'acqua, mastelle per il bucato,

trogoli per i maiali. Il desco di un calzolaio o del sarto era il cippo di un illustre Romano o una lastra

alabastrina su cui nobili matrone un tempo spargevano le loro gemme. Su tutte le piazze, per tutte le vie,

lo sguardo cadeva su opere d'arte ancora erette, oppure cadute o mutilate. (...) Ma la capacità di apprezzare

l'arte era andata perduta, e gli stessi Romani consideravano tutto ciò come materiale da costruzione.

Da secoli Roma era un'immensa cava, dove si gettavano i marmi più splendidi per fonderli e

ricavarne calcina. Tutti saccheggiavano e distruggevano Roma Antica, sfasciavano, frantumavano,

bruciavano, trasformavano, senza mai riuscire tuttavia a darle fondo.

Poi lo storico descrive una virtuale passeggiata attraverso l'Urbe: “I palazzi imperiali del Palatino

erano ancora visibili, colossali rovine folte di sculture d'ogni specie. Parecchie sale avevano ancora

alle pareti preziosi rivestimenti, altre erano adorne di tappezzerie intessute d'oro, stanze da letto

con le pareti rivestite di sottili lamine d'argento e piombo. Il colle Palatino doveva essere allora scarsamente

abitato, poiché vi sorgevano solo poche e piccole chiese. Il maestoso Settizonio, proprietà del convento

di San Gregorio era già stato trasformato in fortezza. I monaci di quel cenobio possedevano anche l'arco

di Costantino, già sopraelevato e trasformato in torre. (…) Il Circo Massimo ed il Colosseo, benchè

maltrattati dalle intemperie, conservavano gran parte dei muri esterni e delle file di sedili. Ovunque templi,

portici, basiliche erano sparsi in grandiosa desolazione. Il Romano del X Secolo si aggirava fra resti

senza numero: colonne, architravi e figure marmoree, e di fronte a quella solitudine affollata di leggende,

a quella frantumata maestà, doveva provare una commozione inesprimibile. Un profondo silenzio copriva i Fori Imperiali.

Il Foro di Augusto era ridotto a un tale ammasso di rovine e di alberi che il popolo lo chiamava

Hortus mirabilis. Sopra le maestose rovine delle biblioteche e delle basiliche Ulpie si ergeva ancora,

fermissima, la colonna Traiana. (…) Campo Marzio era un mondo di meraviglie mezzo sepolto dalle macerie.

Vi abitavano, sotto le buie volte delle rovine, uomini in condizioni miserrime. Sui mucchi di detriti

essi piantavano il cavolo e la vite. Dai cumuli di pietre si formavano vicoli che conducevano a chiese,

dalle quali traevano origine e nome. Nel Campus Agonale, l'odierna Piazza Navona, sui marmi dello

Stadio di Domiziano era stata già costruita più di una chiesa: su un lato la diaconia di Sant'Agnese in

Agone; di fronte la parrocchia di Sant'Apollinare, eretta probabilmente sulle rovine del Tempio di Apollo;

anche il convento di Sant'Eustachio aveva delle proprietà in questa regione.”

Dal tempio circolare di Ercole Vincitore venne ricavata la chiesa di S. Stefano Rotondo, poi rinominata

S. Stefano delle Carrozze per non confonderla con l'omonima chiesa del Celio e quindi Santa Maria del Sole.

E tutt'intorno prati e vigneti a perdita d'occhio, fino alle grandi mura diroccate all'estremo Est.

A livello archeologico si assiste in varie zone della città all'abbandono degli insediamenti sorti nel IX

e nel X secolo, rapidamente obliterati da potenti strati di interro, tanto che le insulae venivano abitate

dal primo piano in su. L'anno 1000 rappresenta realmente uno dei momenti cruciali attorno

a cui si organizza la vicenda delle trasformazioni topografiche e urbanistiche della città e può essere

considerato il punto d'avvio del processo di formazione della città bassomedievale e rinascimentale,

la cui struttura urbana, nonostante le devastazioni del XIX e XX secolo, è ancora alla base della città di oggi.” (Meneghini-Santangeli)

“Pasquale II, primo papa dopo quindici anni a risiedere stabilmente a Roma, restaurò e ricostruì

ad un livello più alto diverse chiese dell'Urbe. In particolare la basilica dei SS. Quattro Coronati,

distrutta nel Sacco dei Normanni. La basilica paleocristiana di S. Clemente, fu interrata e ricostruita

ad una quota più alta di circa 4 metri. Inoltre si provvide il rialzamento di 2-4 metri di molti dei livelli

stradali più frequentati della città, comprese le aree adiacenti.

A Pasquale II si deve però la distruzione del Mausoleo dei Domizi - Enobarbi, che ancora accoglieva

i resti dell'imperatore Nerone, da lui - in virtù della storiografia cristiana antica - considerato un anticristo

con il falso potere di risorgere; al posto del sepolcro distrutto fu eretta una cappella, nucleo originario della Basilica di Santa Maria del Popolo”. (Wiki)



XII Sec. 1143 nasce il Comune di Roma.

Due inondazioni del Tevere.

Ricostruzioni/interramenti di papa Pasquale II.

Costruzione di torri baronali e fortificazioni.

XIII Sec. Due inondazioni del Tevere

Ristrutturazione di molte chiese. Si diffonde l'immagine del crocefisso.

1231 Terremoto

Il Palazzo Senatorio in Campidoglio diventa il municipio della città, il più antico al mondo.

Nascono i Rioni, i quali portano i nomi delle contrade rappresentative: Monti, Trevi, Colonna,

Campo Marzio, Ponte, Sant'Eustachio, Regola, Parione, Pigna, Sant'Angelo, Ripa, Campitelli

e Trastevere.


“Alla nascita del Comune, Arnaldo da Brescia fu una figura emergente: un riformatore religioso di

notevole eloquenza e caratterizzato da forte avversione per l'istituzione tradizionale ecclesiastica.

Sostenne il movimento antipapale e autonomistico romano (costituzione del Comune di Roma o renovatio Senatus).” (wiki)

La riapertura della zecca per iniziativa del senato cittadino alla fine del XII secolo e l’aumentata

circolazione monetaria rappresentarono per la città un evento importante”. (A. Molinari)

L'evoluzione politica della Chiesa rinforzò il potere (specie economico) dei Cardinali e quindi

delle loro famiglie e delle loro clientele, che si arricchirono enormemente; questo fenomeno provocò

l'emergere di un nucleo ristretto di lignaggi, quello dei Baroni, che si distaccarono dal resto

dell'aristocrazia e per più di un secolo dominarono la città e lo Stato Pontificio.” (Vauchez)

Roma in epoca comunale diventa turrita e fortificata, ricca di chiese e conventi. L'affermarsi delle

ricche famiglie baronali, spesso in guerra fra loro, aveva ridefinito il potere nella città. Tracotanza

e soprusi disegnano una città parallela, che vive di clientelismo, violenza e corruzione: nel XIII

Secolo acquistavano potenza gli Orsini, i Savelli, i Cenci e i Colonna, poi c’erano i Conti, gli

Annibaldi, i Caetani, i Mattei.

“Queste famiglie avevano almeno una torre/fortezza per difendere le rispettive zone di influenza:

gli Orsini a Castel Sant'Angelo, i Colonna divengono padroni del Mausoleo di Augusto, i Savelli

del Teatro di Marcello, i Caetani della via Appia e gli Annibaldi di buona parte del Colosseo.

I Conti optano per la costruzione di due enormi torri, ancora oggi esistenti, attorno alle quali si

agglomerano altri edifici collegati da una alta muraglia difensiva. Altri rami degli Orsini e dei

Colonna decidono di costruire le loro fortezze sulle alture di Montegiordano e Montecitorio.

Nella maggior parte dei casi si collegano edifici già esistenti in modo da formare un blocco

fortificato chiamato castrum. Ancora, gli Orsini si appropriano anche di un'altra grande area: attorno

al Teatro di Pompeo nascono due potenti fortilitia, conosciute con i nomi di Arpacasa, vicina a

Campo de' Fiori e Pertundata, sul lato dell'odierna via Arenula. Questi due complessi avranno

un'unica cinta muraria e saranno dotati di altre tre torri. I castra hanno superfici paragonabili ai

villaggi fortificati baronali del Lazio e in caso di conflitti sono pronti ad accogliere centinaia di

uomini. Il 26 maggio del 1312 è ricordato per la cruenta battaglia fra Orsini e Colonna che vide

l'imperatore Enrico VII fermato prima di entrare nel Borgo.” (Vigueur)

Brancaleone degli Andalò, di nobile famiglia bolognese, fu nominato Capitano del popolo dal

Comune di Roma per trovare le contromisure alla violenta anarchia dei Baroni.

Egli tenne testa agli Annibaldi e ai Colonna e si presume che fece abbattere ben 140 torri delle

300 che si ergevano sulla città e rinpinguò le casse comunali esigendo tutte le tasse arretrate.

Il simbolo dell’arroganza baronale veniva così decisamente colpito. Brancaleone morì in circostanze misteriose a 38 anni.


I Mirabilia Urbis Romae, facenti parte della letteratura periegètica (il periegèta presso gli antichi

greci era la persona incaricata di guidare i forestieri nella visita di templi e monumenti), erano l'equivalente

delle moderne guide di viaggio, che servivano ai pellegrini che si recavano a Roma

e li guidavano per tutto il percorso. I primi Mirabilia nascono nel XII secolo, sono manoscritti e

rimarranno tali fino al Barocco, quando inizieranno ad essere stampati.

Tante sono le torri e i campanili da sembrare spighe in un campo di grano, tante le costruzioni

dei palazzi che a nessun uomo riuscì mai di contarle”. Questo scriveva mastro Gregorius, un colto

inglese di Oxford, contemplando la grande città da monte Gaudio (Monte Mario) nel XIII Secolo.

L'Urbe è protetta da una possente cinta muraria lunga quasi 10 leghe e alta 3 pertiche; vi si accede

attraverso diciotto porte, alcune di aspetto monumentale, e nel suo perimetro si contano trecentottantuno

torri di guardia. Queste mura, dette aureliane, a Ponente seguono il fiume cingendo il rione di Transtevere

fino a porta San Pancrazio; a Oriente, con un percorso ondeggiante, corrono su tre colline parallele:

il monte Cavallo o Quirinale, il monte Viminale e il monte Esquilino; i primi due, poco abitati, sono

tenuti a vigne e orti, e si incontrano sovente ruine di antiche fabbriche invase dalla natura: prime

fra tutte per grandiosità le terme Diocleziane.

Sull'Esquilino domina la basilica di Santa Maria Maggiore, seguita da un vicus che scende verso la

piana, sotto due montagnole, l'Oppio e il Fagutale, fino alla Suburra.

Sulla riva destra dominano la vista Castel Sant'Angelo e la basilica di San Pietro con il suo Borgo,

protetti dalle mura leonine; più giù l'affollato rione di Transtevere e alle loro spalle un irto colle, il Gianicolo.

Proprio davanti al rione transteverino sta l'isola di San Bartolomeo.

La riva sinistra e la regione retrostante sono dette in Campo Marzio: una grande piana disegnata

dall'ansa del Tevere che è la parte più abitata dell'Urbe. È una ragnatela di contrate, ove si trovano

opere magnifiche come la colonna Antonina, la chiesa di Santa Maria della Rotonda e la Platea

Agonis, su quello che era lo Stadium di Domiziano. Emergono le torri baronali: Tor dei Millini,

Tor Sanguigna, Torre del Papito, Torre Colonna e numerose altre.

Il limite orientale del Campo Marzio è la via Lata, una lunga strada dritta che taglia la città.

Dalla porta Flaminia essa arriva alla basilica di San Marco fin sotto al Capitolio, ovvero l'altura a

dirupo con le rovine del tempio di Giove, il palazzo senatorio e il monastero di Santa Maria in

Capitolio. Ai suoi piedi si erge la colonna Traiana, con la minuscola chiesa di San Niccolò de

Columna e la contrata di campo Carleo.

Dietro al Capitolio ci sono le rovine del Foro Romano, oramai espoliato dei marmi e chiamato

oggi campo Vaccino in quanto fangoso e per buona parte lasciato a pascolo. Rimangono solo i suoi

archi trionfali mezzo sepolti e qualche statua mutilata fra le ruine. Adiacente v'è il caseggiato detto

in campo Torrecchiano per le torri baronali che anche lì sorgono. E ancora orti e vigneti, di

proprietà delle chiese e dei monasteri vicini.

Lasciati indietro campo Vaccino e la collina della Velia, ai piedi del Fagutale ecco il Coliseo,

maestoso anfiteatro di travertino, il più grande che si possa vedere al mondo. Ora è un'insieme di

abitazioni ricavate nelle cavee e negli ambulacri e il resto cava per materiale da costruzione.

Meridionali al Coliseo tre modeste alture: il monte Palatino, un tempo dimora degli imperatori,

il monte Aventino e il monte Celio, dove tra prati e vigne sorgono le prime storiche basiliche dei

martiri cristiani. Il Campus Lateranensis, con le sue fabbriche, situato sulla propaggine orientale del

Celio, è la residenza papale; attorno si è formato un vivace borgo abitato, una città nella città.

Non lontani s'incontrano l'Acquedotto Claudio e la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, dove

sono conservate le sacre reliquie della Passione. Sebbene questa si trovi dentro le mura è l'estremo

opposto al Campo Marzio; il papa per recarsi da qui al Vaticano impiega quasi due ore di viaggio

in carrozza. Quando si va in processione da San Pietro fino a San Giovanni in Laterano si segue il

vecchio itinerario che scorre lungo la via Papalis: “Dal Ponte Elio si passa per la Via dei Banchi

Vecchi e la Via del Pellegrino fino al gruppo degli edifìzì Pompeiani, poi per il Circo Flaminio sino

al piè del Capitolio. Dopo l'arco di Severo, l'itinerario passa per il Foro Romano e la Sacra Via:

restano a destra le chiese di S. Maria antiqua e S. Teodoro, a sinistra quelle di SS. Cosma e

Damiano e di S. Pietro. Quest'ultimo nome si deve separare senza dubbio dal seguente ad vincula,

e deve intendersi la chiesuola dei due apostoli Pietro e Paolo in silice, fondata già nel VI secolo

dinanzi il tempio di Venere e Roma, ma scomparsa quando ivi presso venne fondata la basilica di S. Maria Nova.


XIV Sec. Cattività avignonese dei papi

Due inondazioni del Tevere

1349 Terremoto (scosse per 40 giorni)

1350 Epidemia


Clemente V, papa francese, decise di stabilire provvisoriamente la sede papale prima a Poitiers,

poi ad Avignone.

Ci vollero sei pontificati per il ritorno del papa a Roma; in quest'opera di convincimento fu molto

attiva Caterina da Siena. Gregorio XI, nato Pierre Roger de Beaufort, fu l'ultimo dei papi di Avignone,

poiché nel 1377 riportò a Roma la sede papale.

Tre quarti di Roma entro le mura è ancora dominata dal verde, le terre allagate o fangose sono

ovunque e il pericolo della malaria è reale. L'area del Fori Imperiali tradisce nel toponimo

“i Pantani” la presenza di una vasta zona impaludata; il vecchio Foro Romano è abbandonato.

XV Sec. Pop. >50.000

Tre inondazioni del Tevere

1450 Ricostruzioni/interramenti documentati

1480 Abbattimenti di Sisto IV, allargamento delle strade in campo Marzio


Martino V Colonna fu il primo papa che poté occuparsi di un rilancio di Roma anche in termini

monumentali e artistici. I primi cantieri a venire aperti riguardarono essenzialmente i due centri principali

del Laterano e del Vaticano, dove venne trasferita la residenza papale (pur trascorrendo gran parte della

sua vita da Pontefice nel palazzo di famiglia ai Santi Apostoli che provvide a restaurare profondamente),

iniziando la trasformazione della zona oltre il Tevere da area periferica a immenso cantiere. Il successore

Eugenio IV continuò l'opera di rinnovamento rinascimentale della città con il ripristino di numerose basiliche.

Ma fu con Niccolò V che le trasformazioni episodiche dei suoi predecessori assunsero una fisionomia

organica, preparando il terreno agli ambiziosi sviluppi successivi. Dopo aver ripristinato le mura leonine

nonché quelle di Castel Sant'Angelo, il pontefice avviò i lavori per la costruzione di un nuovo acquedotto.

Niccolò V era consapevole dell'importanza dell'approvvigionamento idrico della città: la fine della Roma antica

veniva spesso spiegata con la distruzione dei suoi magnifici acquedotti, avvenuta del VI secolo da parte dei popoli barbari.

Nel Medioevo i romani dipendevano per la fornitura d'acqua da pozzi e cisterne, mentre i poveri sfruttavano

le acque del Tevere. L'acquedotto dell'Aqua Virgo, originariamente costruito da Marco Vipsanio Agrippa nel

I secolo a.C., venne restaurato. I romani poterono così attingere acqua fresca in un nuovo bacino, progettato

da Leon Battista Alberti, che fu il predecessore della Fontana di Trevi. Il pontefice ordinò anche la costruzione

di una fontana nella Piazza di Santa Maria in Trastevere, dove non esisteva più un punto di raccolta di acqua dall'antichità.” (Wiki)

Esiste un dipinto che raffigura il panorama di Roma nel XV Secolo, l'unico che conosciamo così grande e

dettagliato da consentirci di avere un'idea visiva piuttosto nitida di come apparisse la città in quegli anni;

eseguito da un anonimo, oggi è custodito al Palazzo Ducale di Mantova.


XVI Sec. Diffusione del Barocco romano

Sventramenti e distruzioni in varie zone, soprattutto nel Foro.

1514 Inondazione del Tevere

1527-28 Sacco dei Lanzichenecchi ed epidemia

1530 Inondazione del Tevere

1557 Inondazione del Tevere

1590 Carestia

1589 Inondazione del Tevere

1598 Inondazione del Tevere, crolla Ponte Rotto


La città, che nel XV Secolo aveva dato segni di rinascita, dovette poi pagare un enorme tributo alle guerre

d'Italia di inizio XVI Secolo. Il sacco dei Lanzichenecchi del 1527-28, il più pesante sofferto dalla città,

ed il contemporaneo scoppio della peste portarono alla morte di parecchie migliaia di persone fra soldati

imperiali e popolazione. Durante l'inverno, per scaldarsi, fu bruciato tutto il legno esistente a Roma: porte,

finestre, mobili, pavimenti. Assieme bruciarono carte, documenti, archivi e biblioteche. E' anche per questo

motivo che le notizie di cui gli storici possono avvalersi per la conoscenza della città in epoca medievale

sono scarne, se non del tutto assenti.

Le migliorie urbanistiche sotto papa Sisto IV Della Rovere videro la costruzione di nuove arterie

quali ponte Sisto, cui diede il nome, via dei Banchi e via dei Coronari e la ricostruzione di san

Vitale. Particolarmente grave l'opera di distruzione perpetrata tra il 1586 e il 1589 da papa Sisto V Peretti

che, per la costruzione della sua villa sull'Esquilino, demolì, anche con l'ausilio di esplosivi,

i resti del calidarium nelle terme di Diocleziano, rapportabili a circa 100.000 m³ di materiale.

A partire dalla metà del XVI Secolo, terminate la guerra e l'epidemia, i vari pontefici furono capaci di trasformare

Roma in una città modello di arte e architettura: nasce il Barocco. Ma a quale prezzo.

Lo scempio più emblematico si ebbe nel Foro: papa Giulio II Della Rovere (1503-1513) decise di

sfruttare tutta la zona come cava di materiali da riutilizzare, molto spesso dopo averli trasformati in

calce, nel progetto di rinnovamento edilizio e artistico della città da lui stesso avviato. Secondo i racconti

di testimoni oculari come Pirro Ligorio, la distruzione dei monumenti fu rapidissima: a volte bastava un

solo mese per demolire edifici quasi integri e a nulla valsero le proteste di Raffaello o le riserve espresse da

Michelangelo. Nel tempio di Antonino e Faustina che rischiò come tutto il resto di essere completamente

smantellato furono asportate le lastre marmoree che lo rivestivano; nella parte alta delle colonne, sono ancora

oggi visibili i segni lasciati dalle corde nel tentativo di farle crollare.” (wiki)

Nel Seicento, sotto i pontificati di Urbano VIII Barberini, di Innocenzo X Pamphili e Alessandro VII Chigi,

il Barocco divenne uno stile di fama internazionale che la città dei papi diffuse in tutto il mondo.

Nasce con loro la Roma moderna, come ancora oggi ci appare entro le mura. Questo segnò però

la fine per ciò che riguarda l'aspetto medievale delle basiliche e della città in generale.

I materiali si ricercavano, gli edifici si demolivano, i marmi si calcinavano alla piena luce del sole,

sotto l' occhio indifferente delle autorità, anzi col consenso di questa e con partecipazione degli utili.” (Lanciani)

Come ancora oggi possiamo constatare non c'è chiesa a Roma che non abbia colonne o marmi sottratti agli edifici antichi.

Con la prolungata assenza di epidemie la popolazione crebbe considerevolmente, ma tutti gli

abitanti di Roma ancora non sarebbero riusciti a riempire per metà gli spalti del Circo Massimo.


XVII-XVIII Secolo, Pop. >100.000 – Italia 15.000.000 – Europa 78.000.000

1606 Inondazione del Tevere

1637 Inondazione del Tevere

1643 Costruzione delle mura Gianicolensi

1647 Inondazione del Tevere

1656 Epidemia

1660 Inondazione del Tevere

1703 Terremoto sui Monti Reatini


Clemente XI fa ricostruire il Porto di Ripetta in forme monumentali con materiali di spoglio provenienti

dal Colosseo (verrà però distrutto nella seconda metà dell'800 per la costruzione dei Muraglioni).

La costruzione della scalinata di Trinità dei Monti, ad opera di Francesco De Sanctis fu la conclusione

ideale del progetto del Tridente, insieme ai lavori del porto, con la sensibilità barocca dei "giardini urbani" (1723-26).

Un'altra opera imponente, che si innestava su un acquedotto romano, è la Fontana di Trevi, conclusa

a metà del Settecento. Sotto Benedetto XIV il progetto barocco si poté dire completato.

I Secoli dal XVII al XIX rappresentarono l'epoca d'oro del Grand Tour, periodo interrotto solo

dall'occupazione napoleonica. Il termine chiarisce come la moda di questo Tour riguardasse un viaggio

particolarmente lungo, che poteva attraversare i paesi continentali e raggiungere perfino mete più esotiche

come l’Egitto, ma che aveva come traguardo prediletto e irrinunciabile l'Italia e soprattutto Roma.

I viaggiatori (principalmente ricchi nordeuropei) si muovevano per visitare gli importanti siti archeologici

delle civiltà classiche, ma molta attenzione era rivolta anche al contemporaneo, alle opere arcadiche e allo

studio della natura, il tutto per perfezionare la propria educazione e conoscenza del mondo. Durante le soste,

da buoni turisti, spesso si ritrovarono ad acquistare opere d’arte e d’antiquariato, cimeli e ricordi di vario

genere del viaggio. Fondamentale diventò farsi ritrarre dai pittori più in vista del momento o acquistare vedute

del paesaggio italiano: tra i pittori più in voga all’epoca vi erano Pompeo Batoni, Vanvitelli ed il Piranesi.

Quest'ultimo esaltò il Rovinismo, cioè il gusto per la drammaticità dei grandiosi ruderi ed il fascino pittoresco

e commovente degli ambienti in abbandono e sopraffatti dalla natura.” (asinodoro)

“Roma era tappa imprescindibile e l’arrivo di questi visitatori stranieri, fra cui artisti ed intellettuali, plasmò la città,

soprattutto nella zona considerata allora “nuova”, tra Piazza del Popolo e Piazza di Spagna. Per molti, come

Goethe e lo stesso Gregorovius, arrivare nella città eterna costituiva il raggiungimento di un sogno e talvolta

ci si innamorava a tal punto di Roma da non lasciarla più. I colori di Via del Corso, i cocchi che la domenica

specialmente animavano la città, suscitavano in Goethe un senso di vitalità non comune. In genere le sue mete

preferite erano i Giardini farnesiani sul Colle Palatino e il Campidoglio. Lo troviamo al Caffè Greco, allora

chiamato Caffè dei Tedeschi, un rifugio, un punto di riferimento per artisti e letterati che amavano la calda intimità

di quel Caffè, per scambiarsi le loro impressioni e le loro emozioni”. (L. Stanziani)

In questi anni (1748) il cartografo Nolli documentò minuziosamente il tessuto urbano.

Clemente XI rinnovò inoltre anche l'altro porto, quello di Ripa Grande, che venne da lui dotato dell'Arsenale.


XIX Sec. Pop. >200.000

1805 Inondazione del Tevere

1806 Terremoto sui Colli Albani

1809-1814 Occupazione francese

1846 Inondazione del Tevere

1862 Sventramenti per la stazione Termini e piazza dei Cinquecento

1870 Roma capitale del Regno d'Italia

Inondazione del Tevere pop. >245.000

1873 Sventramenti per Muraglioni sul Tevere

1881 inizio urbanizzazione fuori le Mura

1883 Sventramenti – Corso Vittorio, Giardini Pinciani e Laterano

1885 Sventramenti per Vittoriano e in Campidoglio


“Roma restò ‹medioevale› per 850 anni: quando i bersaglieri entrarono a Porta Pia, trovarono

una città cresciuta di appena 120 mila abitanti in otto secoli”. (ACRG)

“Come un segno del destino, il 28 dicembre 1870, poco più di due mesi dopo la breccia di Porta Pia,

Roma subì una grande inondazione da 17,22 metri, la maggiore dal 1637. Secondo alcuni studiosi, se

nel frattempo il bacino del Tevere non fosse stato ridotto in favore di quello dell'Arno, la piena del 1870

avrebbe superato in intensità addirittura quella del 1598. L'impressione fu grande e di nuovo si pose mano

a progetti di opere di difesa di Roma dalle piene.” (Wiki)

La situazione si sbloccò per impulso di Giuseppe Garibaldi, che nel 1875 spinse il Parlamento a

dichiarare l'urgenza dell'opera e simultaneamente presentò un progetto di deviazione del Tevere e dell'Aniene,

che avrebbero dovuto aggirare Roma da est su un tracciato più o meno simile a quello dell'attuale cintura ferroviaria.

“Garibaldi, che era stato eletto deputato, si presentò a palazzo

Montecitorio in camicia rossa e poncho, tanto che a fatica lo fecero entrare.” (Barbero)

Al momento di approvare la legge di finanziamento dell'opera, prevalse però il progetto di Raffaele

Canevari di arginare il Tevere con gli alti muraglioni di travertino come li vediamo ai giorni nostri.


XX Sec. 1900 Pop. >500.000 – Italia 35.000.000 – Europa 450.000.000

1932 Sventramenti per Via dei Fori Imperiali

1934 Sventramenti di Tor de' Specchi/Montanara

1936 Sventramenti per Via della Conciliazione

1938 Sventramenti all' Augusteo. Pop. >1.000.000

1943 Bombardamenti a San Lorenzo, Appio e Tuscolano

1944 Bombardamenti su Magliana e Quadraro

1955 Inaugurazione della Metropolitana. pop. <1.650.000

XXI Sec, pop. >2.650.000 – Italia 60.000.000 – Europa 750.000.000


Fino a metà '800 Roma aveva mantenuto le dimensioni di una città di grandezza media, ma da

quando è divenuta Capitale d'Italia le cose sono cambiate e la tranquilla e grandiosa quinta di

tutti i più grandi artisti si è trasformata in una disordinata metropoli. A causa degli sventramenti

operati da quel periodo fino alla prima metà del XX Secolo, conseguenza di discutibili piani

urbanistici, interi isolati cinque-seicenteschi hanno lasciato il posto a piazze e a larghi boulevard

(Corso Vittorio Emanuele, Piazza Venezia, Altare della Patria, via dei Fori Imperiali, via Petroselli,

stazione Termini, ecc.). Nei secoli sono scomparsi, oltre ai maestosi edifici e alle statue dell'antichità,

almeno 150 chiese e monasteri medioevali, un centinaio di torri e decine e decine fra osterie e taverne.

Per non parlare di ville e giardini, l'autentico tesoro della città eterna:

Le piante storiche di Roma, dal Cinquecento e fino al 1870 (G.A. Dosio, 1561, G.B. Falda, 1676,

G.B. Nolli, 1748, G. Vasi, 1781 e A. Moschetti, 1839, solo per citare le più celebri), svelano

un’immagine della città racchiusa dalle Mura Aureliane in cui l’elemento non urbanizzato prevale sul costruito.

Ville e giardini romani prospereranno, dunque, tra il XV e il XVIII secolo, spesso trasformati a causa dei

cambiamenti di proprietà e di gusto, mantenendo, però, intatta la loro vocazione originaria.

Tra Sette e Ottocento tuttavia, con il declino economico dello Stato Pontificio, alcuni di questi

complessi cadranno in abbandono e verranno demoliti o perderanno quasi del tutto le caratteristiche

che li avevano resi celebri. Spariranno antiche residenze come il quattrocentesco “casino” dei Colonna al Quirinale,

presso il Tempio di Serapide, allora identificato come “Tempio del Sole”, ancora attestato nella prima metà

del Seicento, o il giardino dei Soderini, mirabilmente impiantato nel Cinquecento all’interno del Mausoleo

di Augusto, caduto in rovina alla metà del Settecento e poi soppiantato da un’arena detta “Anfiteatro Corea”

per i combattimenti con i tori, del quale, negli anni Trenta del Novecento, Antonio Muñoz ipotizzò una riproposizione.

Importanti ville cinque-seicentesche scompaiono, invece, a causa dello stato di abbandono in cui versano,

come la Villa Giustiniani fuori Porta del Popolo, acquistata nel 1820, oramai in declino, da Camillo Borghese

per l’ampliamento della villa pinciana e della quale sopravvive soltanto una dépendance, la cosiddetta

Casina Giustiniani” o la Villa Sacchetti al “Pineto” con le sue pregevoli sistemazioni, il cui elegante edificio,

progettato da Pietro da Cortona nel terzo decennio del Seicento appariva già fatiscente alla fine del secolo.

Un’altra causa di distruzione o trasformazione di molte ville romane furono i combattimenti scatenatisi

per la difesa della Repubblica Romana durante l’assedio posto dall’esercito francese alla città nel 1849.

Molte aree al di fuori delle mura vennero colpite dai bombardamenti o dalle distruzioni programmate

per eliminare eventuali caposaldi a favore degli assedianti, dai Prati di Castello alla zona compresa tra

Porta Pia e Porta Flaminia: in quest’ultima fu minata e fatta esplodere la settecentesca Villa Patrizi,

poi ricostruita dalla famiglia nelle medesime forme e infine distrutta definitivamente nel 1909 per la

costruzione della sede del Ministero dei Trasporti.

Furono gravemente danneggiati alcuni edifici di Villa Borghese, come il “Casino dei Giuochi d’acqua”

e l’attuale “Aranciera” sede del Museo Bilotti, e fu distrutta la pittoresca “Casina di Raffaello” sita

nell’adiacente “Villetta” di Giuseppe Doria, presso l’attuale Galoppatoio, soggetto di numerose raffigurazioni

paesaggistico/evocative. Ma il settore più pesantemente colpito dai cannoneggiamenti fu quello Gianicolense,

teatro dell’assedio vero e proprio.

Qui furono disastrati tutti gli orti, i giardini e le residenze di delizia che si affollavano fuori e dentro le mura,

tra cui il Casino Corsini ai Quattro Venti, poi incluso nella adiacente Villa Pamphilj e soppiantato dal

celebrativo “Arco dei Quattro Venti”, e l’originale “Vascello”, dimora progettata nel 1663 da Plautilla Bricci

per l’abate Elpidio Benedetti, poi passata in proprietà al conte Giraud, che ospiterà l’avamposto degli eroici

difensori della Repubblica soffrendo così la completa distruzione.

Ma sarà la destinazione di Roma a Capitale d’Italia, e la conseguente necessità di ammodernamento e

ampliamento della città, a comportare, negli anni successivi al 1870, una decisa inversione del rapporto

tra non-abitato e costruito, sacrificando in gran parte ville e giardini, pur celeberrimi, per far spazio a nuovi

quartieri, strade, servizi e centri amministrativi, sia dentro che fuori le Mura.

Le attuali ville storiche, originariamente private, sono sopravvissute in gran parte grazie a politiche di

acquisizione pubblica, dettate più da ragioni urbanistiche, come la dotazione di spazi verdi a fronte di

un’urbanizzazione intensiva, che di salvaguardia tout-court.

La quantità di complessi e giardini scomparsi a causa dello sviluppo urbano è impressionante, ma,

fortunatamente, un cospicuo numero di documenti scritti e visivi, molti dei quali conservati nelle

collezioni dei Musei di Roma Capitale, testimonia le loro bellezze e peculiarità.

Seguendo la cartografia esplicativa dei vari Piani Regolatori è possibile ricostruire la storia delle

distruzioni o radicali trasformazioni delle ville romane.

Tra Quirinale e Viminale, sotto la spinta dei progetti di edificazione di monsignor Xavier de Mérode

per l’apertura di via Nazionale, vengono meno gli “horti” una volta di proprietà del cardinale du

Bellay e viene tagliata via una parte del giardino di Villa Aldobrandini. Nelle successive lottizzazioni

è inoltre distrutta la Villa Strozzi, già Frangipane, con le sue notevoli collezioni d’antichità e la

memoria della residenza romana di Vittorio Alfieri, frantumata prima dal passaggio delle nuove vie Napoli,

Firenze e Torino e poi definitivamente annientata con la costruzione del Teatro Costanzi. Stessa sorte

tocca al seicentesco giardino Chigi in via Quattro Fontane, un interessante esempio di “villetta” urbana

che ospitava un singolare museo di “curiosità”, la cui scenografica sistemazione ci è trasmessa dall’incisione

di Teresa Del Po che raffigura l’apparato architettato da Carlo Fontana per il banchetto offerto dal cardinale

Flavio Chigi a Caterina Rospigliosi il 15 agosto 1668 e da un dipinto del 1850 di Giuseppe Roesler Franz

che mostra una voliera a forma di tempietto ormai in abbandono. Ancor più dolorosa è la devastazione delle

ville nell’area esquilina, tra le quali spiccano le aristocratiche Villa Caserta (Caetani), posta tra via dello Statuto

e via Merulana, e Villa Palombara, poi Massimo, nel luogo dell’attuale piazza Vittorio, della quale sopravvive

soltanto la celebre “porta magica”. Ma la perdita più rilevante fu la dimora della villa della famiglia di Sisto V,

la Villa Montalto-Peretti, poi passata ai Negroni e in ultimo ai Massimo, sacrificata per la costruzione del

nuovo quartiere Esquilino e della limitrofa Stazione Termini. Possiamo quindi valutare le fattezze degli edifici principali,

il “Palazzo di Termini”, soppiantato dall’attuale Palazzo Massimo alle Terme (1888), una delle sedi del Museo

Nazionale Romano, e il “Palazzetto Felice”, l’edificio amato da Sisto V per la piacevolezza dei suoi ornamenti,

in un primo momento sopravvissuto alla prima urbanizzazione dell’area ma successivamente (1888) anch’esso demolito.

Altra perdita considerevole è quella del seicentesco giardino Giustiniani, che si distendeva tra la via Sistina (Merulana)

e la piazza di San Giovanni in Laterano, della quale resta, con accesso in via Matteo Boiardo, se pur rimaneggiato,

il casino decorato internamente nel 1803 dai pittori nazareni su commissione del principe Carlo Massimo,

divenutone proprietario l’anno precedente.

Nel 1848 la villa passò ai Lancellotti che, nel 1871, vendettero il giardino come area edificabile; nel 1885 ne fu

avviata la distruzione. Il portale monumentale sulla via Merulana attribuito a Carlo Lambardi fu smontato,

ceduto allo Stato nel 1929 e ricostruito a Villa Celimontana nel 1931 portale villa Celimontana], in sostituzione

di un mediocre ingresso dei primi dell’Ottocento demolito per l’allargamento di via della Navicella. La bellezza

del giardino, punteggiato di statue antiche, prospettive architettoniche e scompartito da alte siepi, è mirabilmente

documentata da una serie di 7 acquerelli conservati al Museo di Roma. Oltre alle grandi ville, la prima ondata

di urbanizzazione travolge anche il tessuto di piccole e pregevoli dimore circondate da giardino che costellavano

l’area tra Castro Pretorio e Porta Tiburtina, come p. es. le ville Rondinini, Olgiati, poi del Noviziato dei Gesuiti.

Anche la seconda, e ben più consistente, fase di inurbamento, sancita dal Piano Regolatore redatto da Alessandro

Viviani nel 1882, cancellerà dalla mappa di Roma ville antiche e famose. È il caso della Villa Altoviti affacciata

su Tevere ai Prati di Castello, anch’essa soggetto di vedute di paesaggio, la cui loggia nel 1553 era stata

affrescata da Giorgio Vasari, incendiata durante i combattimenti del 1849, poi ricostruita e infine demolita

per la costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia (1889-1910) e del quartiere limitrofo.

Non meno grave è la distruzione del tessuto di ville e giardini che caratterizzava l’area tra Porta Pia e Porta Pinciana

per la realizzazione del “Nuovo Quartiere agli Orti Sallustiani”, con la sparizione della Villa Massimo di Rignano

e della pittoresca “villetta” Spithover, già Barberini, il cui casino, demolito nel 1906, sormontava i resti

delle sostruzioni degli antichi horti.

In quest’area si registra la perdita più significativa, quella della nobile seicentesca villa dei Ludovisi, offerta nel 1886

dall’ultimo proprietario, Rodolfo Boncompagni Ludovisi, in convenzione alla Società Generale Immobiliare per

procedere alla lottizzazione di più dell’ottanta per cento della sua superficie totale che darà vita all’attuale “Rione Ludovisi”.

Meta di viaggiatori e studiosi, fu decantata da scrittori e poeti per il pregio della straordinaria collezione di oltre 450

sculture antiche e per la bellezza dei giardini impiantati nell’area degli antichi horti di Sallustio (dei quali si conservava,

giacente in terra, un obelisco anticamente lì innalzato) da dove si godeva un fenomenale colpo d’occhio sulla città.

Il rincrescimento, energicamente espresso da Gabriele D’Annunzio, Rodolfo Lanciani e Theodor Mommsen,

per il sacrificio del complesso, dal quale fu risparmiato il solo Casino dell’Aurora decorato dalle pitture di Caravaggio

e di Guercino, ben risuona in uno scritto dello storico dell’arte Herman Grimm, intitolato La distruzione di Roma (1886),

in cui affermava che «profetizzare, che sotto il nuovo governo la villa dovesse andare distrutta … e gli allori, le querce,

i pini abbattuti … sarebbe stato allora un’offesa che né anche il più acerbo nemico della nuova Italia avrebbe osato

recarle». Oltre la già ricordata Villa Patrizi sulla Nomentana, al Celio sarà sacrificata, per la costruzione dell’Ospedale

Militare (1885-91), la Villa Casali col suo pregevole edificio e il giardino, del quale resta solo una fontana a pianta

polilobata all’interno del parco del nosocomio, da cui si ammirava la spettacolare vista del Colosseo. Ancora al Celio,

all’incrocio tra le vie dei Santi Quattro Coronati e di Santo Stefano Rotondo, verrà distrutta la villa-museo del marchese

Giovanni Pietro Campana, famosa nella prima metà dell’Ottocento per le notevoli collezioni di antichità esposte in

apposite architetture e nel giardino: alla morte del proprietario (1880) la proprietà fu acquistata dallo scultore inglese

Warrington Wood e intorno al 1895 passò all’Ordine dei Cappuccini e al “Collegio Salviati” per essere, infine,

abbattuta nel terzo decennio del Novecento per la nuova edificazione del Pontificio Collegio Irlandese (1922-26).

Anche la realizzazione dei nuovi argini di contenimento del Tevere, opera intrapresa a partire dal 1875 e conclusasi

nel 1926, comportò la distruzione o la riduzione dei giardini affacciati sul fiume.

Il giardino della “Farnesina” fu di fatto dimezzato e perdette il “caffeàus” fluviale derivato dall’antica loggia del

giardino Farnese. Stesso destino subì anche un’altra sistemazione farnesiana, il casino con giardino connesso

a Palazzo Farnese detto “della Morte”, al pari del seicentesco “Casino di Donna Olimpia” a Ripa e del giardino

Consalvi, poi Marescotti, a Ponte Rotto.

Si salvaguardano, è vero, alcuni importanti complessi, come le ville Giulia, Pamphilj, Albani, Torlonia, pur con

sottrazioni dovute a esigenze di viabilità pubblica, e si cerca di recuperare, destinandoli a verde pubblico,

lacerti di antichi complessi falcidiati dalle lottizzazioni circostanti. Sulla via Portuense disparve la pregevole Villa

Massimo, poi Della Porta Rodiani e Sacripanti, realizzata agli inizi del Seicento; ne resta l’imponente portale

del 1629, il cui progetto è attribuito a Girolamo Rainaldi, oggi soffocato dall’edilizia abitativa intensiva sorta tra

gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. A partire dal Dopoguerra il consumo di suolo e di aree verdi di pregio,

dovuto all’urbanizzazione e alla speculazione edilizia, tende ad arrestarsi, da un lato per la saturazione

delle aree centrali e di quelle suburbane più prossime, dall’altro per una più nitida consapevolezza

dell’importanza culturale e civile dei giardini storici che ne ispirerà la difesa e la tutela.” (Cremona/Sovrintendenza)




Fino a metà '800 Roma entro le mura rimase abitata solo per un quarto della sua superficie.



 

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