Zagor o Biancaneve? Dilemmi adolescenziali.
La mia è una storia ordinaria. Una storia di provincia, che voglio far iniziare
all’incirca nei primi anni ‘70.
Allora, oltre a far sport non c’era molto altro, quindi il mio passatempo preferito era il fumetto detto
“popolare” o per ragazzi. Perfetto sodalizio fra arte e consumismo per chi lo produceva, coniugazione
del sogno con il futuro per chi lo leggeva.
E le parole sogno e futuro per un fanciullo sono concetti che se vogliamo svilupparli bene ci vorrebbe
un’intera enciclopedia. Magari illustrata da Jack Kirby e Johnny Romita.
Un bambino nota molte cose. Intendo mentre è in auto, quando gioca o gira in bici con gli amici,
non gli sfugge nulla. Quell’età in cui sai leggere quasi speditamente, ma sei pigro.
Una volta, nel garage di un compagno di scuola, fra le altre cianfrusaglie notai un albetto con su un tipo
con una casacca rossa e un rudimentale robot gigante che lo inseguiva.
Non ci badai, così come non diedi eccessivo rilievo al fatto di aver visto dai vicini di casa un disco la
cui copertina portava la scritta El lado oscuro de la luna. Non ti fai domande, ma hai “registrato”;
la testa di un bambino funziona così. Esiste ciò che ti interessa e ciò che non ti interessa non esiste.
Forse è l’unica certezza che ho maturato circa l’infanzia, specie se è spensieratamente indaffarata.
(Mi sbagliavo, perché poi ho scoperto che anche tanti adulti sono così).
Se escludiamo le scorpacciate a base di Bottaro, Carpi e Scarpa,
per il sottoscritto come per molti altri baby-boomers di tipo “X”, cioè quelli che hanno visto con i propri occhi
il Corriere dei Piccoli diventare Corriere dei Ragazzi, l’algoritmo alchemico evasione/avventura/ fumetti
inevitabilmente ruotava attorno ai personalissimi tratti di (in ordine sparso) Toppi, Pratt, Battaglia, Tacconi,
Bonvi, Jacovitti e pochi altri. Quei pochi altri forse erano Magnus e Morris.
E questi baby-boomers, chiamiamoli della seconda ondata, stavano nascendo ancora al ritmo di
8-900.000 all’anno. Eravamo tanti. Tanti omini bufi.
C’erano i Trasferelli Grinta, una specie di versione analogica di Photoshop, c’erano i pulloverini di
Leacril, soprattutto c’era l’Austerity, una sorta di “governo Monti” antidiluviano che doveva farci
risparmiare benzina.
Sebbene a otto anni fossi ancora piccolo per digerire al meglio Rasputin e Mino Milani, l’imprinting
lavorava sottopelle e modellava una sensibilità che in un lontano futuro avrebbe apprezzato
non solo Corto, ma anche altre cose come ad esempio Ken Parker e se vogliamo Frank Miller.
Nell’estate del ’77 avevo finito la seconda media, avevo smesso di collezionare figurine , di giocare
con i soldatini Atlantic, di leggere Topolino. Ero “diventato grande” (Ahahahahah!).
Anzi, sbandieravo con orgoglio il fatto di non avere mai avuto un Big Jim!
Già da un anno circa leggevo un fumetto che giudicai molto maturo, Mister No (un nuovo personaggio
esplosivo! diceva la pubblicità) e gli immancabili fumetti adolescenziali del barbiere, sconci ma didattici.
Un pomeriggio di giugno ero in edicola e vidi che Zagor, un vecchio personaggio della editrice CEPIM
che conoscevo solo di nome, stava uscendo con una ristampa a colori, Indian Circus, e decisi di
acquistarlo. Fu colpo di fulmine.
L’ennesimo colpo di fulmine a fumetti; dopo Paperinik e Nick Carter (sì, lo so, in quanto a colpi di fulmine
a dodici anni si è un po’ nerd e un po’ mignotta) mi apprestavo a scoprire un nuovo (per me) universo,
quello di Darkwood.
Non avevo mai letto prima fumetti western, a parte qualche Comandante Mark che un amico mi prestava,
e lo Spirito con la Scure fu subito una rivelazione. Beninteso, dopo la Biancaneve di Leone Frollo.
La serie regolare in quei giorni presentava Il Signore dei Serpenti, che lì per lì non mi piacque molto,
ma le storie seguenti, quelle con i Sullivan, i Fantasmi e l’idolo cinese superarono le aspettative.
Quando giudico una storia faccio la somma di testo e disegni, un tutt’uno, dove ha leggera prevalenza
il testo, diciamo un 51%. Ma le due cose sono inscindibili.
Continuavo a collezionare e soprattutto leggere le ristampe con la scritta rossa, le uniche facilmente reperibili
in edicola. Così nell’arco di un anno mi sono letto a ritroso da Indian Circus a Corvo Giallo, mentre in avanti si
trovavano ancora degli Zenith. Da Vudu! a Ora Zero senza troppa fatica, i numeri seguenti con
più difficoltà. Non ho mai richiesto arretrati alla Casa Editrice.
Negli anni ’80, quando Nolitta passò la palla, conobbi un nuovo Zagor, quello di Sclavi e Castelli, e mi
piacque molto. Anzi, mi aprì le porte dei neonati Martin e Dylan. Ma questa è un’altra storia.